Onorevoli Colleghi! - Negli ultimi 20 anni il ruolo e le funzioni del pubblico ministero sono stati spesso oggetto di riforme e di dibattito in vari paesi democratici (Inghilterra, Francia, Olanda), nonché di autorevoli raccomandazioni da parte di organismi sopranazionali come l'Unione europea, il Consiglio d'Europa, i Congressi delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine.
      Un tale interesse si giustifica:

          a) a causa del ruolo cruciale che la magistratura requirente svolge nella repressione della criminalità. Il ruolo dei pubblici ministeri ha acquisito un'importanza via via maggiore per effetto della crescente complessità, pericolosità e diffusione che i fenomeni criminali di livello locale, nazionale ed internazionale hanno assunto in tutti i Paesi negli ultimi decenni;

          b) a causa delle devastanti conseguenze che un uso indebito, improprio o partigiano dell'iniziativa penale può avere sulla protezione dei diritti civili, sulla salvaguardia dello status sociale, economico, familiare e politico dei cittadini.

      Le soluzioni istituzionali e operative che vengono adottate negli altri Paesi a consolidata tradizione democratica per soddisfare le complesse esigenze funzionali che si collegano al ruolo del pubblico

 

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ministero danno per scontato che l'esercizio dell'azione penale abbia e non possa non avere ampi margini di discrezionalità.
      Nell'affrontare o nel rivedere la posizione istituzionale del pubblico ministero i Paesi democratici devono comunque cercare di bilanciare a livello operativo due valori confliggenti, ma entrambi di grande rilievo. Da un lato, la consapevolezza che il pubblico ministero partecipa alla formulazione e attuazione delle politiche criminali e, dall'altro, l'esigenza di garantire che l'azione penale sia esercitata con rigore, uniformità e correttezza.
      Negli anni diverse sono le soluzioni che sono state adottate dai vari Paesi che si sono posti prima di noi questo problema.
      Nonostante il nostro legislatore costituente avesse stabilito l'obbligatorietà dell'azione penale a tutela del presidio del precetto costituzionale che sancisce l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, oggi in Italia l'azione penale risulta essere di fatto largamente discrezionale almeno quanto lo è in altri Paesi e, per certi aspetti, anche di più. Una discrezionalità che col tempo è divenuta sempre più visibile anche a causa della crescente dimensione e complessità dei fenomeni criminali.
      Da più parti, nel tempo, è stata invocata la necessità di fissare le priorità nell'esercizio dell'azione penale: dalla Commissione di riforma dell'ordinamento giudiziario nominata dal Ministro Conso, dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 17 settembre 1987, e dallo stesso Consiglio superiore della magistratura sia in sede di procedimenti disciplinari che in sede di plenum (seduta del 10 giugno 1998).
      È di tutta evidenza che le scelte che si effettuano nell'esercizio dell'azione penale e nell'uso dei mezzi di indagine sono per loro natura scelte di grande rilievo politico.
      Sarebbe difficile cogliere appieno la portata dei poteri del pubblico ministero in Italia e degli ambiti di discrezionalità di cui gode senza ricordare alcune sue caratteristiche e poteri che si sono venuti sviluppando e consolidando nel corso degli anni. Tra questi poteri i più rilevanti sono:

          i pubblici ministeri hanno acquisito progressivamente il pieno controllo sulla polizia giudiziaria nel corso dell'intera fase delle indagini;

          nel corso degli ultimi 25 anni l'azione penale è via via divenuta un attributo più del singolo magistrato che dell'ufficio cui questi appartiene, a dispetto del fatto che i poteri gerarchici siano formalmente attribuiti al capo dell'ufficio.

      Nella sostanza l'obbligatorietà dell'azione penale formalmente e definitivamente trasforma qualsiasi atto discrezionale del pubblico ministero in un «atto dovuto». L'analisi delle decisioni che vengono prese nella gestione del personale togato e persino nella giurisprudenza ordinaria rivelano ulteriori aspetti della discrezionalità dei magistrati inquirenti. L'elenco dei casi specifici che dimostrano questo concetto, e che sono venuti alla luce accidentalmente, sarebbe lungo. Il fatto, poi, che questi comportamenti non vengano sanzionati significa che nel nostro sistema quei comportamenti sono pienamente legittimi. Di ciò occorre tenere conto non solo nel ridisegnare il ruolo del pubblico ministero ma anche nel rivedere le caratteristiche del procedimento disciplinare.
      Date queste condizioni non deve sorprendere che la piena ed irresponsabile indipendenza dei pubblici ministeri sia sfociata in un uso dei loro amplissimi poteri discrezionali che si differenzia da caso a caso, in base ad orientamenti, preferenze o ambizioni personali.
      Sembra giunto, quindi, il momento di razionalizzare e coordinare l'attività del pubblico ministero, finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticista dell'obbligatorietà dell'azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli sulla sua attività (per dirla con Giovanni Falcone, in Interventi e proposte, 1994).
      Paradossalmente, pertanto, proprio l'obbligatorietà dell'azione penale che era stata voluta dal nostro costituente per

 

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tutelare il valore dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, è divenuta, anche per le interpretazioni che di essa sono date, il principale impedimento alla possibilità di regolare la discrezionalità dell'azione penale per rendere quella tutela effettiva.
      Per ovviare alle molteplici disfunzioni alle quali si è fatto cenno ed effettuare quel trasparente bilanciamento tra indipendenza e responsabilità del pubblico ministero è necessaria una procedura per stabilire le priorità dell'azione penale e predisporre strumenti di monitoraggio che rendano, per quanto possibile, trasparente la gestione delle politiche pubbliche nel settore criminale
      Nella fissazione delle priorità assumeranno rilievo:

          a) i criteri di priorità già indicati dall'articolo 227 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51;

          b) le indicazioni contenute nella raccomandazione del Consiglio d'Europa del 1987 (n. R87-18): la personalità dell'indagato, la solidità degli elementi di prova ai fini della condanna, gli effetti della condanna sull'indagato e l'interesse della persona offesa.

      La presente proposta di legge costituzionale ha l'obiettivo di raggiungere questi scopi e indica le linee direttrici da seguire.

 

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